Statalizzato
il credito, la crisi si trasferirà alle valute
Di
Carlo Pelanda (24-2-2009)
Non è vero
che sia impossibile censire la quantità di prodotti tossici che contaminano i
bilanci delle banche americane ed europee. I metodi e gli strumenti informatici
ci sono. L’operazione trasparenza non è avvenuta perché le banche principali, manager ed azionisti, hanno avuto paura di svelare che la
quantità di finanza tossica non scambiabile sul mercato comportava la
condizione di fallimento. Per lo stesso motivo i
governi e le autorità monetarie non hanno voluto entrare con poteri di
ispezione nei conti. Inoltre hanno permesso alle
banche di truccare i bilanci ammettendo la valorizzazione a libro e non a mercato
della tossicità. Le Banche centrali hanno finanziato con liquidità infinita
tale insolvenza invece di risolverla. Lasciamo stare le critiche al passato e
vediamo il futuro. Dobbiamo premere affinché l’operazione pulizia venga fatta o è ormai inutile?
I dati a
consuntivo del fallimento Lehman Brothers
suggeriscono che almeno un po’ di pulizia sarebbe remunerativa. L’insolvenza è
stata sui 600 miliardi di dollari, ma i valori positivi,
alla fine, sono risultati attorno ai 380. Ciò significa, oltre al fatto che il
catastrofico fallimento era evitabile, che molti prodotti tossici lo erano meno
di quanto pensato. Infatti la Bce
fa bene a premere per la creazione di un mercato europeo specializzato per la
finanza derivata ora non scambiata. Tale soluzione di mercato, che stranamente la Fed
non persegue, potrebbe ridurre di un 20%, ad occhio, la montagna di prodotti
tossici. Ma quello che resta - decine di trilioni di robaccia
- non potrà più avere mercato e alla fine affonderà i bilanci. Sta
succedendo ora. Per tale motivo gli Stati dovranno prendere in
mano tutte le banche (principali) nazionalizzandole direttamente o
indirettamente - modello italiano - garantendo le loro operazioni. In tale
prospettiva il conto preciso della tossicità, pur sacrosanto, è ormai superato.
La statalizzazione del credito, infatti, trasferirà l’instabilità al mercato
valutario perché è l’unico ancora funzionante, quello borsistico non più indicativo. Lì vi sarà il prossimo
fronte della crisi, dove questa sarà invertita oppure peggiorerà. Non è detto
che il dollaro cadrà. Le banche europee hanno un
rischio di insolvenza di 4 trilioni di dollari nei mercati emergenti, mentre
quelle americane solo di 500 miliardi. Il dollaro dovrà
tornare forte per sostenere l’indebitamento americano, l’euro potrebbe
sfasciarsi. O viceversa. Tali eventi, comunque, distruggerebbero la globalizazione.
Per stabilizzarla, e far ripartire la fiducia, sarà necessario un accordo
monetario e sui cambi, pochi mesi il tempo utile.
Carlo Pelanda